Quale riforma della giustizia militare
data 14/06/2014
Le proposte dell'AMMI
Associazione Nazionale Magistrati Militari
L’Associazione Nazionale Magistrati Militari, premesso che rimane insoddisfatta l’esigenza di una riforma organica della legislazione penale militare, evidenzia alcuni aspetti su cui sarebbe auspicabile una urgente iniziativa del Governo e del Parlamento, al fine di colmare le lacune e di risolvere le problematiche inerenti alla concreta attività e funzionalità della giurisdizione militare.
1. La razionalizzazione del riparto di giurisdizione.
1.1. Premessa
La magistratura militare associata auspica una razionalizzazione delle competenze, chiedendo che il Legislatore attribuisca alla Autorità giudiziaria militare –come misura minimale- la cognizione di determinate categorie di reati comuni di particolare rilevanza e frequenza o comunque connessi a quelli militari, oppure –in un’ottica di riforma più vasta- la cognizione di tutti i reati che effettivamente danneggiano il servizio militare, il patrimonio dell’Amministrazione militare ovvero diritti soggettivi di singoli appartenenti alle Forze Armate.
Questa opera di razionalizzazione, che consentirebbe di sgravare anche il lavoro dei Tribunali ordinari, è un obiettivo che può essere perseguito senza la necessità di riformare l’art. 103, comma 3, Cost. Essa appare del tutto in sintonia con quanto esposto dal Sig. Ministro della Giustizia on. Orlando in Commissione Giustizia del Senato in data 23 aprile 2014, illustrando le linee programmatiche del suo dicastero:
“Sul versante complessivo delle giurisdizioni, non solo ordinaria, ma anche speciali, considero doveroso ed opportuno verificare con urgenza l’esistenza delle condizioni politiche per procedere ad una armonizzazione complessiva delle giurisdizioni, partendo anzitutto dal riconosciuto bisogno di una comune base di valori deontologici, possibile soltanto attraverso l’introduzione di un sistema disciplinare unitario. ….
Valuterò altresì, nella prospettiva della semplificazione e accelerazione dei giudizi, la possibilità di un più razionale riparto di giurisdizione (in particolare tra giudice ordinario e amministrativo), e di una semplificazione e accelerazione dei meccanismi di rilievo del difetto di giurisdizione, al fine di eliminare il rischio, tutt’oggi attuale, che un processo, dopo tre gradi di giudizio e molti anni, debba ricominciare ex novo perché ci si è rivolti al giudice sbagliato”.
Quanto all’attuale sistema di ripartizione di competenza, si deve notare che l’assetto previsto dalla Carta costituzionale prevedeva la giurisdizione militare per tutti i reati commessi da militari o da appartenenti alle Forze Armate, anche se non contenuti nel Codice Penale Militare di Pace. Ciò perché il c.p.m.p. era stato redatto con il criterio della complementarità, vale a dire con l’indicazione delle sole fattispecie non costituenti reato comune, o che fossero da queste difformi per la pena o per altri motivi.
L’art. 264 c.p.m.p. rivestiva, in quel caso, la funzione di norma generale di richiamo per tutti I reati comuni non contenuti nello stesso Codice Penale Militare di Pace.
Quello status, frutto di un intenso dibattito tra i parlamentari dell’Assemblea Costituente, venne però stravolto dalla legge 23.3.1956 n. 167, approvata in seguito alla vicenda Renzi – Aristarco. Questi ultimi, autori di un soggetto cinematografico dal titolo “L’Armata S’Agapò”, sulla spedizione militare in Grecia durante la 2^ guerra mondiale, erano stati arrestati dalla Procura Militare di Milano, in quanto appartenenti alle Forze Armate, pur non in attualità di servizio, per il reato comune di Vilipendio alle Forze Armate.
La legge ordinaria sopra citata non intervenne sul termine di “appartenente alle Forze Armate” contenuto nell’art. 103 Cost., probabilmente per le difficoltà dell’iter di approvazione di una rettifica costituzionale, ma modificò l’art. 264 c.p.m.p. recidendo il collegamento con il Codice Penale ordinario e sottraendo alla giurisdizione militare la competenza su tutti i reati contenuti nel Codice Penale ordinario.
In proposito, va ribadito come, la mancata previsione nel codice penale militare di pace di alcune fattispecie di reato o di una norma di richiamo quale l’abrogato art. 264 c.p.m.p. sia fonte continua di difficoltà e inconvenienti. Essa costituisce anche una fonte di costi non indifferenti, anche se difficilmente calcolabili, riscontrabile nelle situazioni in cui l’Autorità giudiziaria ordinaria e quella militare si occupano dei medesimi imputati o indagati, nonché dei medesimi fatti o di fatti connessi.
Esempio emblematico al riguardo è dato dalla vicenda processuale concernente il Gen. C.A. SPECIALE Roberto. Questi, infatti, fu condannato dalla Corte Militare di Appello per vari episodi integranti il reato di peculato militare aggravato (artt. 215 e 47 n. 2 c.p.m.p.), in ordine all’indebito uso di auto di servizio, di personale appartenente all’Amministrazione militare e di aereo. La Corte di Cassazione confermò la citata sentenza solo per la parte concernente l’uso del velivolo, rinviando gli atti alla Corte Militare di Appello per la rideterminazione della pena, trasmettendo altresì copia degli atti all’Autorità giudiziaria ordinaria per l’illecito impiego dell’auto e dell’autista, ritenendo integrati i reati di peculato d’uso (art. 314, comma 2, c.p.) e abuso di ufficio (art. 323 c.p.). Per questi ultimi delitti, sottoposti alla giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria, il procedimento si concluse con la declaratoria di avvenuta prescrizione dei reati.
Tale vicenda è paradigmatica della inutile duplicazione di lavoro, che ha interessato sia l’Autorità giudiziaria ordinaria che quella militare, con conseguente aggravio dei costi e dei disagi per l’amministrazione giudiziaria e per il medesimo imputato. Non può sottacersi, poi, che le esigenze di giustizia sono state solo parzialmente soddisfatte, a causa dell’intervenuta prescrizione dei reati di competenza dell’Autorità giudiziaria ordinaria, fenomeno frequente nella amministrazione della giustizia ordinaria, ma pressoché sconosciuto nella giustizia militare.
1.2.1. Possibili modalità di intervento:
a) mediante attribuzione di specifici reati comuni alla giurisdizione militare.
Prendendo in considerazione solo i casi più eclatanti che giustificano un urgente intervento normativo, appare incongruo, in primo luogo, che non siano previsti come reato militare le condotte di falso strumentali alla realizzazione, da parte di militari, di un peculato militare o di una truffa a danno della amministrazione militare: in questo caso la conseguenza è una inevitabile duplicazione di procedimenti, che certamente non favorisce l’efficienza della amministrazione della giustizia e si ripercuote negativamente anche sull’imputato che deve affrontare due diversi processi per un fatto sostanzialmente unitario.
In secondo luogo è inaccettabile che costituisca reato il peculato e non il peculato d’uso (art. 314 co. 2 c.p.), cui adesso la Corte di cassazione riconduce anche l’uso abusivo del telefono cellulare di servizio: dal momento che la contestazione di un peculato o peculato d’uso può spesso mutare nel corso del processo, sulla base delle prove che vengono successivamente acquisite, l’attuale normativa da luogo spesso alla declaratoria di difetto di giurisdizione nel corso del processo, con i conseguenti ritardi e sprechi di risorse.
Analoghe considerazioni valgono per i reati di concussione (art. 317 c.p.), abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) e rifiuto e omissione di atti d’ufficio (art. 328 c.p.); calunnia (art. 368 c.p.); violenza sessuale (art. 609 bis c.p.) e atti persecutori(art. 612 bis c.p.), che dovrebbero essere attribuiti alla giurisdizione militare, in quanto espressione di fenomeni di prevaricazione tra militari (“nonnismo”), spesso commessi in danno di donne militari; omicidio tra pari grado, attribuito oggi irrazionalmente alla giurisdizione ordinaria, mentre alla giurisdizione militare compete il reato di omicidio di altro militare, solo se avente grado superiore o inferiore.
1.2.2. segue:
b) mediante ridefinizione della nozione di “reato militare”.
In alternativa ad un intervento per specifiche categorie di reato e in un’ottica più generale, occorre un provvedimento normativo sulla nozione di “reato militare”, concetto la cui definizione è rimasta irrisolta a seguito della citata abrogazione del’art. 264 c.p.m.p.
Un modello auspicabilmente da seguire potrebbe ravvisarsi, ad esempio, nella ‘Proposta di legge Cirielli’ (A.C. 41, presentata il 15 marzo 2013) sulla "Modifica all'articolo 37 del codice penale militare di pace, concernente la definizione di reato militare".
La definizione di reato militare di cui all’art. 37 c.p.m.p. (che, come è noto, attualmente stabilisce che “qualunque violazione della legge penale militare è reato militare” e che “è reato esclusivamente militare quello costituito da un fatto che, nei suoi elementi costitutivi, non è, in tutto o in parte, preveduto come reato dalla legge penale comune”) sarebbe estesa, mediante la previsione dei seguenti commi: «Costituisce altresì reato militare ogni altra violazione della legge penale commessa dall'appartenente alle Forze armate con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti allo stato di militare, o in luogo militare, e prevista come delitto contro:
1) la personalità dello Stato;
2) la pubblica amministrazione;
3) l'amministrazione della giustizia;
4) l'ordine pubblico;
5) l'incolumità pubblica;
6) la fede pubblica;
7) la moralità pubblica e il buon costume;
8) la persona;
9) il patrimonio.
Costituisce inoltre reato militare ogni altra violazione della legge penale commessa dall'appartenente alle Forze armate in luogo militare o a causa del servizio militare in offesa del servizio militare o dell'amministrazione militare o di un altro militare.
Costituisce inoltre reato militare ogni altra violazione della legge penale prevista quale delitto in materia di controllo delle armi, munizioni ed esplosivi e di produzione, uso e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, commessa dall'appartenente alle Forze armate in luogo militare».
1.3. Il Codice per le missioni militari all’estero.
Appare poi necessario portare a compimento l’iter di approvazione del Codice per le missioni militari all’estero, già presentato e preso in esame nella passata legislatura, ma non ancora in quella corrente.
E’ inutile sottolineare quanto sarebbe importante, per i militari italiani che svolgono all’estero compiti pericolosi e delicati, poter contare su una legge penale adeguata alla specificità del contesto in cui operano. Va ricordato al riguardo che già, in un ordine del giorno approvato il 23.1.2002, in sede di esame della normativa che prevedeva l’applicazione del codice penale militare di guerra per la missione Enduring Freedom, il Senato della Repubblica impegnava il Governo alla presentazione di un disegno di legge relativo ad una nuova disciplina penale militare delle missioni all’estero. Dal 2006 è stata poi ripristinata, anche per le missioni in Afghanistan ed Iraq, l’applicazione della legge penale militare di pace, ma ciò non ha evidentemente risolto i problemi di inadeguatezza della legislazione vigente. L’auspicio rispetto alla emanazione di una nuova legge organica sulla materia, è stato peraltro cristallizzato nelle nuove formulazioni degli artt. 9 e 165 del codice penale militare di guerra, poste ora a ricordare, in via permanente, l’inadempienza del legislatore rispetto all’impegno che pure si era assunto.
2. L’ organizzazione giudiziaria.
Oltre ad indicare i predetti obiettivi minimi, l’Associazione magistrati militari ritiene di sottolineare, in tema diorganizzazione giudiziaria, che con legge 24.12.2007 n. 244 (art. 2, commi da 603 a 611) gli uffici giudiziari militari sono stati drasticamente ridotti, da 26 a 10 (con la soppressione di sei tribunali militari e delle due sezioni distaccate della Corte militare di appello e dei relativi uffici di Procura e Procura generale).
L’intento del legislatore era dichiaratamente quello di realizzare il risparmio (peraltro, di una somma alquanto modesta, intorno al milione e quattrocentomila euro annui) delle spese corrispondenti ai costi di gestione delle sedi soppresse. Al riguardo, tuttavia, occorre sottolineare che non sembra che l’obiettivo sia stato raggiunto, tenuto conto che, a fronte di una modesta riduzione delle spese sopra indicate, vi è stato un considerevole aumento di quelle connesse agli inevitabili spostamenti, sul territorio nazionale, di persone informate sui fatti, testimoni, comandanti di reparto, ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, magistrati e personale della Giustizia militare. Peraltro, come sopra osservato, un’altra forma di antieconomicità, dai costi non indifferenti, anche se difficilmente calcolabili, è riscontrabile nelle attuali situazioni in cui l’Autorità Giudiziaria Ordinaria e quella Militare si occupano dei medesimi imputati o indagati militari, nonché dei medesimi fatti o di fatti strettamente connessi.
Inoltre, si è inevitabilmente verificata una maggiore difficoltà ad esercitare il controllo di legalità da parte degli uffici del Pubblico Ministero, a causa del notevole incremento dell’ambito territoriale dei circondari.
In conclusione, quindi, sulla attuale “geografia giudiziaria militare” non è più possibile intervenire (peraltro anche nella magistratura ordinaria vige la regola che ogni Corte d’appello deve avere nel proprio circondario almeno tre tribunali), non essendo proponibili ulteriori riduzioni di sedi o di organici.